Resterà aperta fino al 23 giugno al teatro parrocchiale di Panchià la mostra “Le scritte dei pastori”, inaugurata sabato 18 maggio alla presenza di numerose autorità.
Alla cerimonia ha voluto essere presente anche l’assessore provinciale Mauro Gilmozzi, che in questo modo ha potuto scoprire un aspetto della storia della sua valle ancora poco conosciuto. Sono intervenuti anche Lorenzo Baratter e Giovanni Kezich, rispettivamente presidente e direttore del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di San Michele all’Adige, il presidente della Comunità Territoriale della Valle di Fiemme, Raffaele Zancanella, lo scario della Magnifica Comunità di Fiemme, Giuseppe Zorzi, il vicesindaco di Panchià, Cinzia Giacomuzzi.
L’orario di apertura della mostra a Panchià sarà 17-19 dal martedì al venerdì, 20-22 dal martedì alla domenica, 10-12 la domenica (si possono prenotare visite guidate contattando il numero 347/0333174). L’esposizione, a cura del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, era stata inizialmente allestita nella sede di San Michele all’Adige.
Visto il grande interesse storico e culturale, la Comunità Territoriale di Fiemme ha voluto portarla in valle, per permettere alla popolazione e alle scolaresche di conoscere un aspetto del passato locale poco noto. Dopo essere stata ospitata nelle sale della Magnifica Comunità di Fiemme, ora la mostra è a Panchià, dopodiché verrà trasferita a Tesero e infine, in autunno, a Predazzo. Sarà interessante per gli abitanti di Panchià scoprire, tra le altre, anche le scritte lasciate dal loro compaesano Silvio Gilmozzi, uno dei pastori che nel secolo scorso lasciarono testimonianze del loro lavoro e della loro vita sulle pareti del Monte Cornón.
Sul palco del teatro è stata allestita la ricostruzione del riparo del Trato, a monte dell’abitato di Ziano, a quota 1.550 metri, lungo una delle principali vie di accesso ai pascoli del Cornón. Su queste rocce sono state trovate 68 scritte lasciate dai pastori: la più vecchia risale al 1717, mentre la più recente è datata 1901. É stata l’artista di Carano Marcella Dagostin a realizzare la suggestiva ricostruzione del riparo.
IL BÓL: L’INCHIOSTO DEI PASTORI
Per lasciare le loro scritte, i pastori utilizzavano un’ocra rossa facilmente reperibile sul Cornón e sul Latemar sotto forma di noduli. In dialetto quest’ocra viene chiamata ból (timbro, marchio), perché veniva usata per contrassegnare gli ovini. Per far sì che attecchisse alle pareti rocciose e rimanesse indelebile, i pastori sfregavano l’ocra su un pezzo di pietra piatta bagnata con il latte di pecora o di capra (a volte anche con la saliva o l’urina), ottenendo una densa poltiglia che veniva poi applicata sulla parete con un rametto masticato o battuto con un sasso.
Sono migliaia le scritte lasciate sulla roccia tra le seconda metà del Seicento e la prima metà del Novecento dai pastori fiemmesi sul Monte Cornón. Si tratta di iniziali, sigle, date, nomi, conteggi del bestiame, figure di animali, messaggi di saluto che raccontano la dura vita in solitudine di chi trascorreva molti mesi all’anno in quota con le greggi, lontano dalla famiglia.
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