Quintino, 93 anni, fa ginnastica a ogni risveglio poi beve il suo intruglio: caffè d’orzo, uovo, zucchero e grappa. Non si sente un vero eremita, perché adora parlare con chi va a trovarlo nel suo isolato maso di Arodolo.
La sua vita estrema è una scelta di libertà. Nel suo perimetro è costretto a muoversi per cogliere ciò che la natura gli offre. “Colgo il mio fiore ogni giorno”, spiega. Durante l’inverno deve chiudere l’acqua che rischia di gelare nei tubi. Per fortuna nel bosco c’è una fontana.
Durante l’inverno i suoi pannelli fotovoltaici non gli regalano abbastanza luce. Ma lui morirebbe su un divano “con un bottone in mano”.
La sua vita scorre lenta e calma. Lui prova pena per chi vive lo stress della città e mostra il suo incedere lento con orgoglio: “Guardate dove si appoggia la vita… un passo dopo l’altro. La vita dovrebbe essere così per tutti. Che gusto c’è a essere ricchi se poi ci sono persone povere”. Le sue capre lo aspettano nella stalla ogni mattina. Lui affronta il sentiero sconnesso e ghiacciato e apre il chiavistello.
“La mia è una scelta filosofica”, spiega l’ex partigiano.
Quintino ha creato nell’orto un monumento per ricordare i suoi compagni impiccati. È un albero che racconta tante vite stritolate da una corda.
Lui vive lontano da tutto il suo ideale comunista “in un Paese non non si può più parlare di comunismo”. E nelle lunghe ore di solitudine ricorda il suo viaggio per Mauthausen miracolosamente interrotto dalla fine della guerra. “Io amo la vita – conclude – e quindi non morirò mai”.
Oggi il film “La scelta di Quintino” di Gabriele Carletti ha scatenato un lungo applauso.
Questo è il mio personale applauso al regista, a Graziano Bosin e a Manuel Morandini e all’Apt di Fiemme che lo ha prodotto. (Federica Cerri che bello vederlo insieme!)
Beatrice Calamari
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